Pubblicato da:Massimo Montanari
“Noma” è un ristorante di Copenaghen a cui è stato recentemente assegnato il primo posto nella classifica dei cinquanta migliori ristoranti del mondo. Queste classifiche sono evidentemente assurde (lo stesso chef del “Noma”, René Redzepi, ammette che “sarebbe come decidere qual è il colore più bello”). Ma il caso è interessante, perché capovolge luoghi comuni e modi di pensare che parevano fuori discussione. Per esempio, l’idea che l’Europa del nord non abbia una cucina degna di questo nome, anche per una “naturale” ristrettezza di risorse alimentari. Ora, l’intitolazione di questo ristorante – “Noma” è l’abbreviazione di “Nordisk mad” che in danese significa “cibo nordico” – è un vero manifesto per affermare il contrario. Che un cibo del nord esiste, e una cucina pure.
L’interesse di questa provocazione sta nel rovesciamento di un paradigma culturale che risale all’antichità. È il paradigma della civiltà mediterranea, cresciuta sull’idea che il lavoro agricolo e la coltivazione della terra possano “addomesticare” e migliorare la natura, creando alimenti tanto più gradevoli e raffinati quanto più lontani dallo stato selvatico. Esattamente questa è l’idea di “civiltà” costruita nel Mediterraneo antico: dar vita a ciò che in natura non esiste. A cominciare dal pane, dal vino e dall’olio, i tre grandi miti della civiltà greca e romana.
Il nuovo modello culinario lanciato nei paesi scandinavi – in Danimarca così come in Norvegia e in Svezia – propone un mito di segno opposto: un “ritorno alla natura” che abbandoni l’artificio per la spontaneità, il domestico per il selvatico, il cotto per il crudo. Dalle cucine di Noma escono bacche selvatiche e fiori, erbe e radici del bosco, gamberetti di fiordo serviti crudi o addirittura vivi, così come le formiche raccolte fra le dune marine. Un esercito di raccoglitori si è messo al lavoro per rifornire il ristorante di Redzepi. Una nuova idea di educazione alimentare si propone di mostrare (anche ai bambini) che “tutto è commestibile”, basta saperlo riconoscere nell’ambiente che ci circonda.
La proposta non è priva di contraddizioni, come sempre accade quando gli uomini optano per la natura contro la cultura, ma lo fanno in modo consapevole e ricercato, con una mediazione intellettuale (culturale) lontanissima dalla dimensione“naturale” che pretenderebbe di rievocare. Lo stesso accadeva agli eremiti medievali, quando sceglievano – per consapevole scelta culturale – di vivere nella foresta affidandosi alla provvidenza divina, cioè alla natura, piuttosto che al lavoro, cioè alla cultura. Che la storia sia il luogo delle contraddizioni non crea certo stupore. In ogni caso, l’esperimento di René Redzepi resta un fenomeno di grande interesse, che crea scompiglio nelle nostre certezze e anche solo per questo merita di essere segnalato.
L’interesse di questa provocazione sta nel rovesciamento di un paradigma culturale che risale all’antichità. È il paradigma della civiltà mediterranea, cresciuta sull’idea che il lavoro agricolo e la coltivazione della terra possano “addomesticare” e migliorare la natura, creando alimenti tanto più gradevoli e raffinati quanto più lontani dallo stato selvatico. Esattamente questa è l’idea di “civiltà” costruita nel Mediterraneo antico: dar vita a ciò che in natura non esiste. A cominciare dal pane, dal vino e dall’olio, i tre grandi miti della civiltà greca e romana.
Il nuovo modello culinario lanciato nei paesi scandinavi – in Danimarca così come in Norvegia e in Svezia – propone un mito di segno opposto: un “ritorno alla natura” che abbandoni l’artificio per la spontaneità, il domestico per il selvatico, il cotto per il crudo. Dalle cucine di Noma escono bacche selvatiche e fiori, erbe e radici del bosco, gamberetti di fiordo serviti crudi o addirittura vivi, così come le formiche raccolte fra le dune marine. Un esercito di raccoglitori si è messo al lavoro per rifornire il ristorante di Redzepi. Una nuova idea di educazione alimentare si propone di mostrare (anche ai bambini) che “tutto è commestibile”, basta saperlo riconoscere nell’ambiente che ci circonda.
La proposta non è priva di contraddizioni, come sempre accade quando gli uomini optano per la natura contro la cultura, ma lo fanno in modo consapevole e ricercato, con una mediazione intellettuale (culturale) lontanissima dalla dimensione“naturale” che pretenderebbe di rievocare. Lo stesso accadeva agli eremiti medievali, quando sceglievano – per consapevole scelta culturale – di vivere nella foresta affidandosi alla provvidenza divina, cioè alla natura, piuttosto che al lavoro, cioè alla cultura. Che la storia sia il luogo delle contraddizioni non crea certo stupore. In ogni caso, l’esperimento di René Redzepi resta un fenomeno di grande interesse, che crea scompiglio nelle nostre certezze e anche solo per questo merita di essere segnalato.
http://www.consumatori.e-coop.it/index.php/rubriche/cibo-e-cultura/la-cultura-del-selvatico/#sthash.aypT1ovn.dpuf
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