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Scritto nell’arco di un anno, Adage Adagio, uscito originariamente in Inghilterra nel 2009 per The Conversation Paperpress, è un dialogo in versi tra due poeti di formazione diversa: David Nettleingham, ricercatore e insegnate di sociologia presso l’Università del Kent e Christopher Hobday, specializzatosi in Letteratura inglese e americana presso la stessa Università in Canterbury.
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Come annota Joseph Campbell in Mitologia Primitiva, elaborare la contraddizione tra ciò che è “elementare” e ciò che, viceversa, è dato “etnico” richiede di allentare continuamente la tensione tra “innato” e “acquisito”, tra “natura” e “cultura”. Per tale ragione, un approccio limitatamente poetico o la redazione di un resoconto storico o giornalistico rischiano di concettualizzare troppo (o troppo poco) la questione, riducendo il movente della storia a un ideale o a un atto esemplare. Occorre perciò appropriarsi di altri strumenti di indagine, elaborare la lingua, studiare la biologia, capire dove sociologia e psicologia riescono forse a marcare una distinzione tra il carattere individuale e un’attitudine collettiva.
Il quadro di riferimento è certamente ideologico, riconducibile, per parte di Nettleingham, a posizioni anticapitalistiche, mentre, per parte di Hobday, a un liberalismo egalitario e progressista. Sullo sfondo di Adage Adagio si agitano figure diverse, ciascuna con un proprio peso nella formazione dei due autori, si depositano le esperienze della letteratura post-sovietica su capitalismo, comunismo e progresso storico, le perplessità sui canoni politici e storici che veicolano esperienze ed ideali per intere generazioni, la chimera (condivisa da entrambi) che sia possibile solo un’anima buona per il progresso.
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