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Tuesday, October 29, 2013

Michele Mirabella ospita oggi il dott Sandro Sorbi, ordinario di neurologia.

Scoperti 11 nuovi geni associati
al morbo di Alzheimer

ricerca comparsa sulla rivista scientifica Nature genetics, realizzata dai principali consorzi europei e americani del settore e col contributo dell’Università di Firenze. Fra gli autori dell’articolo Benedetta Nacmias, ricercatore in neurologia, e Sandro Sorbi, ordinario di neurologia, entrambi afferenti all’Ateneo fiorentino. 

ELISIR / Rai3
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SCIENZA / La Stampa
ICERCA

Scoperti 11 nuovi geni associati
al morbo di Alzheimer



Alcuni sono coinvolti nel funzionamento dell’ippocampo,
la prima area cerebrale che si altera
a causa della malattia
FIRENZE
Scoperti undici nuovi geni associati alla malattia di Alzheimer, che possono cioè contribuire a determinare lo sviluppo della patologia.  

Questo il risultato di una ricerca comparsa sulla rivista scientifica Nature genetics, realizzata dai principali consorzi europei e americani del settore e col contributo dell’Università di Firenze. Fra gli autori dell’articolo Benedetta Nacmias, ricercatore in neurologia, e Sandro Sorbi, ordinario di neurologia, entrambi afferenti all’Ateneo fiorentino. 

La strategia dello studio che ha coinvolto i soggetti in più repliche, ha portato a evidenziare risultati significativi a livello di geni, alcuni dei quali consentono di approfondire l’importanza di meccanismi della malattia già noti (associati alle proteine amiloide e tau), mentre altri sottolineano la rilevanza di nuove aree del cervello di potenziale interesse per la comprensione delle cause della malattia.  

Alcuni di questi nuovi geni sono infatti coinvolti nel funzionamento dell’ippocampo, la prima area cerebrale che si altera a causa dell’Alzheimer, e nelle attività di comunicazione tra i neuroni. «Si tratta, in tutti i casi, di meccanismi - ha spiegato Nacmias - che hanno un ruolo importante nei processi che possono portare a neurodegenerazione. Ulteriori studi sono necessari per caratterizzare queste varianti dal punto di vista funzionale, per chiarire la loro associazione con il rischio di malattia e per definire meglio il loro ruolo nella fisiopatologia dell’Alzheimer».  

«Questi nuovi dati forniscono nuovo impulso alla ricerca - ha commentato Sorbi - suggerendo indicazioni anche per lo sviluppo di strategie terapeutiche». 

La malattia di Alzheimer è un processo neurodegenerativo che provoca un declino globale delle funzioni della memoria e di quelle intellettive, associato a un deterioramento della personalità e della vita di relazione. La malattia è causata da fattori genetici e ambientali, che favoriscono la progressiva deposizione all’interno del cervello di una particolare proteina, denominata beta-amiloide, con conseguenze tossiche sui neuroni, favorendo la progressiva degenerazione cerebrale. La malattia colpisce in modo conclamato circa il 5 per cento delle persone oltre i 60 anni. In Italia si stimano circa 600.000 ammalati. Il costante aumento della popolazione in età senile sta rendendo questa patologia una vera e propria «epidemia silente», con elevati costi sociali ed economici. 

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